I dati Eurostat e l'art 18



Come più volte detto la flessibilità in uscita che è un eufemismo per dire l'abolizione dell'art 18 è solo e pura ideologismo o lotta di classe detto in termini marxiani.
Ed è tale anche, se velatamente ammesso per sotto intesi, dalla stessa compagine governativa, Monti e la Fornero , dalla lacrima facile, quando dicono , che l'art 18 è una anomalia per l'Europa e come tale, come tutte le anomalie italiane vanno portate alla "normalità" .


Per correttezza va detto che in tutti i paesi Europei vale la "protezione reale" Cioè in tutti i Paesi dell'Unione il licenziamento deve essere sorretto da ragioni o di carattere soggettivo, legate cioè a un comportamento del lavoratore, che non necessariamente deve costituire un inadempimento, o da ragioni di carattere economico o produttivo che riguardino l'organizzazione dell'impresa e il suo miglior funzionamento. Il licenziamento deve in altri termini sempre essere sorretto da una “giusta causa” (oggettiva o soggettiva), il cui mancato rispetto dà origine a sanzioni per il datore di lavoro. In tutti gli ordinamenti il licenziamento discriminatorio (per sesso, razza, fede, etc..) è nullo.
A differenza con l'art 18 che prevede , in accordo con le parti, sia il reintegro sia il risarcimento e solo per le aziende con un numero di lavoratori nella stessa unità produttiva di 15 dipendenti o nello stesso comune di 60 dipendenti.
Come si vede la questione è di solo pura lana caprina nei fatti, ma importantissima per l'aspetto ideologico. Di qui la campagna mediatica promossa e condotta senza esclusione di colpi , anche diffondendo falsità ( vedi l'art di Alessi e Giavazzi su Corriere della Sera di qualche giorno fa) E lo è tanto più in quanto anche ammesso che si eliminasse l'art 18 resterebbe anche l'art 3  della legge 604 del 1966 che sancisce che il licenziamento non conforme alla disposizione che legittima il licenziamento quando sia giustificato da "ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa",
Ma l'art 18 è troppo integrato alla più in generale legge 300 del 70 detta anche Statuto dei lavoratori.
e che anche l'antico governo voleva trasformarlo in Statuto dei lavori, e non a caso.

Ma per ideologismo , la campagna ideologica, appunto, fatta a supporto di tale necessità che l'Europa ci chiede, sia i Professoroni della Bocconi che più si sperticano a trovare con tecnicismi, soluzioni
bizantine( Ichino, Garibaldi, Boeri, ) che tentano di mascherare il vero obbiettivo, sia i mass media più "riformisti" e progressisti (Repubblica in testa, con il suo ultimo capolavoro del fondo di Scalfari), attraverso temi che toccano le corde più sensibili. Il precariato, i giovani disoccupati, (" i figli sò pezz' e' core) ecc ecc e via di questo argomenti che nulla hanno a che vedere con il problema dell'art 18.
Non c'è nessun legame causa effetto tra i due temi.
Ma i dati statistici ed empirici a supporto di tale assoluta assenza di legame nulla valgono di fronte ad una campagna di puro ideologismo.

E le indagini OCSE valgono a corrente alternata.
Infatti dati indicano che l'Europa ha un indice di flessibilità di 1,77 (per i lavoratori a tempo indeterminato) l'Italia è al di sotto della media mondiale (2,11).

Se non bastasse arrivano i dati Eurostat che indicano l'andamento della disoccupazione in Europa e in particolare ho preso quelli di alcuni paesi dove esiste una sorta di specifica protezione ai licenziamenti individuali immotivati ( perché tale è la protezione prevista dall'art 18) e quelli in cui esiste una assoluta libertà sia in entrata che in uscita.

Il dato generale vede la disoccupazione attestarsi  al 9,9%, vale a dire che nel Vecchio Continente circa 23,8 milioni di persone sono senza un lavoro. Rispetto a un anno fa il tasso di disoccupazione registra un aumento (era pari al 10% nell'Eurozona e del 9,5% nell'Europa a 27). Già questo indica che la disoccupazione ha cause più generali e assume un carattere sempre più strutturale oltre che contingente. Ma vediamo i dati nei paesi con differente protezione

Spagna
 30% circa di tutti i dipendenti e circa l’80% dei nuovi assunti ha un contratto di lavoro a termine. tasso di disoccupazione è al 23%
Germania
indice di flessibilità 3.0 uno dei più alti con un tasso di disoccupazione del 7,8 uno dei più bassi
Lavoratori allontanati solo con giusta causa
Il licenziamento senza giusta causa è considerato illegittimo e, in via preferenziale, deve essere risarcito con il reintegro sul posto di lavoro. L'imprenditore che voglia licenziare un dipendente deve comunicarlo al consiglio di azienda. Se il sindacato riterrà non fondato il provvedimento, il dipendente ha il diritto di rimanere al suo posto fino al termine del processo. Se poi il giudice stabilisce che effettivamente il licenziamento non era giustificato, l'imprenditore ha l'obbligo di reintegrare il dipendente in organico. L'unica eccezione è la possibilità che l'imprenditore dimostri che non c'è possibilità di collaborazione con il licenziato che dunque viene risarcito con un indennizzo.

Francia
tasso di disoccupazione 9,9%
Generalmente il lavoratore che viene ingiustamente licenziato è risarcito con indennizzi di entità variabile secondo criteri stabiliti dalla legge. Ma nell'autunno scorso tre sentenze di tribunali locali hanno fatto scalpore annullando i progetti di delocalizzazione di altrettante aziende d'oltralpe. Quelli che i francesi chiamano "licenziamenti della Borsa", dettati cioè dalla smania degli azionisti di portare altrove la produzione per aumentare i profitti, sono stati considerati illegittimi e le aziende sono state obbligate a riassumere i lavoratori licenziati. Grandi proteste, naturalmente, degli imprenditori. Ora sulla vicenda la parola deve passare alla Corte di Cassazione di Parigi.

Quando sentite parlare di art 18 accostato a concetti di disoccupazione o precariato state attenti ve stanno a fregà





P.S.
Ad integrazione riporto uno stralcio di uno studio fatto  a dimostrazione di quanto poco influisce l'art 18 con il nanismo della imprese italiane altro male da addenitare appunto all'art 18 nella vulgata mistificatoria

In un lavoro con Roberto Torrini (2008)  abbiamo confrontato il comportamento delle imprese appena sopra e appena sotto la soglia dei 15 dipendenti. L’idea è che imprese con 15 o 16 dipendenti sono fra loro molto simili, a parte il fatto che quelle sopra la soglia sono soggette all’articolo 18. Eventuali diversità nei comportamenti possono essere usate per “misurare” l’importanza dell’articolo 18. Al solito, i risulti vanno presi cum grano salis. Nel frattempo, ci sono stati cambiamenti importanti nel sistema economico (ma non nella normativa). Inoltre, è possibile l’effetto soglia catturi solo una parte degli effetti complessivi dell’articolo 18. Ciò detto, evidenze alternative non ci sono.

Come visto sopra, la legge prevede una netta discontinuità nei costi di un licenziamento giudicato illegittimo per le imprese con più di 15 dipendenti.  Questo fatto viene spesso indicato come una delle cause del nanismo delle imprese italiane. Se così fosse, ci dovremmo aspettare un addensamento di imprese appena sotto la soglia dei 15 dipendenti e una forte caduta sopra di essa. La figura sotto riporta il numero di imprese per dipendenti per le classi dimensionali da 5 a 25 . Il numero decresce regolarmente, con al più una piccola caduta a 16 dipendenti. Non c’è ammassamento sotto la soglia.  
Abbiamo anche considerato la propensione a crescere delle imprese. Se passare la soglia dei 15 dipendenti è molto costoso in quanto si diventa soggetti all’articolo 18, ci dovremmo aspettare che le imprese siano molto restie a farlo. La figura sotto riporta la quota di imprese che accrescono l’occupazione da un anno all’altro. La quota cresce regolarmente con la dimensione, in quanto più grande è l’impresa e maggiore è la probabilità di accrescere l’occupazione (e, simmetricamente, di decrescerla). Si vede molto chiaramente un calo in prossimità della soglia: le imprese sono più restie a crescere quando ciò comporta il passaggio di soglia. Ma la caduta è modesta: la probabilità di crescere scende dal 35% che si verificherebbe senza l’effetto soglia al 33 per cento  (abbiamo riscontrato riduzioni di entità simile in corrispondenza delle soglie che fanno scattare l’obbligo di assunzione di categorie protette, una tutela che certo non riceve l’attenzione dell’articolo 18). Utilizzando tecniche statistiche, abbiamo anche calcolato che la dimensione media delle imprese italiane crescerebbe dello 0,5 per cento rimuovendo l’effetto soglia. Siamo ben lontani dal raddoppio necessario per arrivare ai livelli degli altri paesi industrializzati.
In conclusione, i costi aggiuntivi derivanti dal superamento della soglia dei 15 dipendenti non sono ritenuti così onerosi dalle imprese da far rinunciare massicciamente a opportunità di crescita. Il trade off è quindi costi sociali alti, dato l’alto valore simbolico attribuito all’articolo 18 da parte dei lavoratori e benefici di efficienza incerti, probabilmente modesti. Bisogna domandarsi se il gioco vale la candela, o se non si possa agire su altri aspetti meno controversi per rendere più efficiente il nostro mercato del lavoro. Gli ambiti di intervento non mancano. C’è spazio per migliorare la normativa sui licenziamenti collettivi, che, secondo gli indicatori Ocse, potrebbe essere semplificata per assicurare una gestione più efficiente degli stati di crisi. Si può anche agire sulla flessibilità “interna”, cioè di gestione della forza lavoro, su cui si sono fatti progressi sotto la spinta della vicenda Fiat (nella quale, tra l’altro, la questione licenziamenti non è mai stata sollevata) ma su cui si può ancora migliorare. E serve mettere ordine nel sistema di ammortizzatori sociali.