Ilva e Taranto . Ma di cosa stiamo parlando?




Si parla tanto sui giornali, in rete, sui social network di Taranto , dell'ILVA. Ma quasi sempre senza sapere di cosa si parla, senza conoscere cosa è l'ILVA e cosa rappresenta l'ILVA pr i tarentini, come si vive, come si muore, dentro e fuori la fabbrica.
Al di là dei trattati di sociologia industriale o sociale propongo due testimonianze vere di due lavoratori dell'ILVA Testimonianze raccolte quando Taranto e l'ILVA non erano salite alla ribalta della cronaca e del gossip nazionale. Forse per questo rappresentano ancor più testimonianza reali.



La vita in cokeria

"II corso di formazione è du­rato una settimana. Ci hanno parlato del comportamento che dovevamo avere all'interno dell'azienda, perché ti devi comportare bene. Se ti chiedo­no di rimanere per uno straor­dinario, lo devi fare. Devi ri­spettare i superiori e i vigilan­tes, quelli che ti controllano sul lavoro. Pensa che Riva ha avu­to il permesso di usare anche i carabinieri ausiliari come vigi­lantes di fabbrica. Soprattutto non ti devi iscrivere al sinda­cato: se ti iscrivi, è una condan­na sul contratto di formazione.
Mio padre si è fatto 30 anni di fabbrica, questo ha agevo­lato la mia assunzione, perché in via preferenziale vengono assunti sempre i figli di ex-di­pendenti. Prima che io venissi assunto, la direzione ha chie­sto informazioni su mio padre ai suoi colleghi.
Dopo il corso di formazio­ne, mi hanno messo subito in cokeria, come addetto coper­chi. I primi giorni che respiri quel fumo giallo, stai male. Poi ti abitui a quello schifo. Il va­lore soglia di qualità dell’aria per le emissioni di benzopirene è di 1 nanogrammo per me­tro cubo... ma è di I37mila nanogrammi per metro cubo il tet­to raggiunto nella zona coper­chi della cokeria!
Lavorare come addetto co­perchi non è difficile per un ra­gazzo: si devono controllare due leve e pulire con una sco­pa il piano di carico al di so­pra di forni che raggiungono la temperatura di 1250 gradi. In cokeria non e c'è "molto " da fare. C'è solo da sfornare 37 forni per turno. In cokeria non vengono neanche i vigilantes a respirarsi i fumi. Basta che sforni. Una volta abbiamo bloccato lo sfornamento perché un carrello era uscito dai binari. Abbiamo dovuto bloccare La produzione: sono arrivati tutti i dirigenti a dirci che non potevamo fermarci. I forni li devi recuperare e quando fai le cose veloci, incominci a sbagliare.
L'anno scorso, di questi tempi, un ragazzo ha perso quattro dita, perché un carrello aveva scarrozzato e ci aveva infilato la mano sotto. Quando aumenta il ritmo succede spesso che la gente si fa male e finisce in infermeria. Qualche anno fa, un ragazzo è morto. Era sul piano passerella, la sfornatrice è passata e lo ha tagliato in due.
La cokeria è il regno del caos: condutture del gas con rubinetti sostituiti da manici di scopa, coke sparso da tutte le parti, mancanza degli attrezzi essenziali (perfino le chiavi inglesi!), perché il padrone deve risparmiare sul budget. Però la produzione deve mantenere gli stessi livelli: a loro interessa il prodotto finito. E se tu protesti, ti inguaiano subito. Il sindacato? Ma ti rendi conto che non ci si può neanche iscrivere, che con Riva, il sindacato è solo una farsa.
Quando hai finito di lavorare, ti dici: cazzo, ho lavorato 8 ore, ho respirato di tutto, esco e non mi spendo neanche 30 euro. Trovarsi i solidi in tasca, ali 'inizio ti lascia bene, ti senti già grande. Esci con la ragazza, apri il portafogli e sei pieno di soldi, la porti a mangiare al ristorante, ti compri il cellulare, gli occhiali da sole, un sacco di cose. Però alla fine ti rendi conto che, al di là di quei soldi, non c'è niente dietro. Hai un lavoro che non può piacere a nessuno. Quando passi anche undici ore al giorno in fabbrica e ti devi alzare alle 5 per arrivarci non hai molto tempo per vedere gli altri. Quando non lavori, dormi, che altro devi fare? Non vedo l'ora che arrivi il sabato, quando arriva è una festa, non sai che vuoi dire quel giorno e mezzo... "

La Palazzina LAF*

"Quando arrivai dentro la Palazzina, c'erano già venti persone. E infatti fui subito definito "il numero 21 ". Eravamo in 79 in una palazzina con 15 uffici. In una stanza per sei persone c'erano due vecchie scrivanie ed un tavolino, oltre a poche sedie, dovevamo fare a turno per sederci, senza un telefono per comunicare con l'esterno. Non facevamo niente per tutto il giorno. In otto ore e mezzo leggevamo il giornale, chiacchieravamo tra di noi, passeggiavamo nel corridoio. Era frustrante per noi, anche se venivamo comunque retribuiti. Avevamo avuto ruoli di responsabilità in azienda, e ora ci sentivamo perfettamente inutili.... ... contavamo i mattoni del corridoio facendo avanti e indietro come in una prigione. Ritrovandoci a parlare da soli. Vi erano momenti in cui alcuni di noi, dopo aver accumulato per giorni, settimane tensioni, cominciavano improvvisamente a gridare, a piangere. Alcuni si sono ammalati...
...La palazzina Laf non era soltanto una punizione per noi ma anche una minaccia per gli altri. A un mio collega fu imposto di fare 2-3 ore di straordinario al giorno senza retribuzione. Gli fu detto che altrimenti avrebbero trasferito anche lui alla palazzina Laf. Lui accettò, e cominciò a lavorare fino alle 19.00o alle 20.00.
Una volta, a una messa pasquale, siamo stati accompagnati da una scorta di vigilanti e tenuti isolati in una parte della chiesa. Appena è finita la funzione siamo subito stati riportati alla Laf. Insomma, ci trattavano come detenuti...
...A volte gridavamo, cantavamo la nostra rabbia dentro la palazzina, per farci sentire da fuori... Da allora in poi sono in cura. Ho preso una depressione che non è più andata via... "


*La palazzina Laf oggi non esiste più, è stata sequestrata dalla Procura di Taranto nel novembre del 1998. La sentenza della Cassazione, del marzo 2006, ha stabilito che la Laf è stato “uno strumento coartatorio” servito “a liberarsi, a mo’ di vera e propria decimazione, di un certo numero di impiegati, non più giovani e di ragguardevole anzianità di servizio, quasi tutti rei di qualche “mancanza” nei confronti della dirigenza”. Emilio Riva è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso a un anno e otto mesi. Per tentata violenza privata e per frode processuale: durante le fasi del processo tentarono di ripulire la palazzina per cancellare ogni prova. Oltre a Riva e Capogrosso sono state condannate altre nove persone, tra dirigenti e quadri d’azienda.