Lucchini, sciopero contro,lo spegnimento dell'altoforno


La crisi dell'impianto siderurgico di Piombino è la riproposizione , in scala molto piu ridotta, della crisi dell'ILVA di Taranto. Cosa c'entra? Li non c'è l'inquinamento di Taranto, li non si soffre per il cancro prodotto insieme all'acciaio. No certamente, ma le cause e l'origine di quella crisi sono uguali. Impianti appartenuti allo Stato , quando l'acciaio era ritenuto strategico per la vita di un Paese, poi la crisi di sovrapproduzione a livello europeo e la dismissione della capacità produttiva di ogni singolo paese (in Italia si chiuse Bagnoli, e Reggio mai aperto a dir la verità), poi la svendita di Cornigliano a Riva e di Piombino a Lucchini, e di Terni alla Tyssen Krup. Allo Stato rimase solo l'impianto più moderno (allora) fra quelli rimasti in Italia.
Ma rimase tutto intero il vero problema.
Gli impianti siderurgici hanno una obsolescenza degli impianti calcolati mediamente in 10 anni. Poi i processi produttivi, sopratutto quelli del ciclo a caldo subiscono modifiche, miglioramenti , più produttività e meno inquinamento (quando questo viene visto dalla comunità e dalla rappresentanza politica come costo sociale). Si pensi solo alla rivoluzione introdotta con il ciclo della colata continua. Una vera rivoluzione, sia in termini di professionalità, sia di impianti, sia di processo produttivo, di risparmio energetico e di impatto ambientale.
Ma alla fine degli anni '80' e l'inizio dei novanta in Italia era finita l'ubriacatura Craxiana e del mitico "CAF" ( Craxi-Andreotti-Forlani) e lo Stato non poteva più reggere gli enormi investimenti continui per gli impianti . Si cominciò quindi la svendita ai privati , per gli impianti più piccoli e meno moderni, lasciandosi l'opzione per quello più grande e più produttivo. Poi alla metà degli anni 90 anche Taranto subi la sorte degli altri impianti. Fra tutti i possibili acquirenti ( a Taranto si fece avanti la Nippon Steel, ma l'opzione dell'italianità non era prerogativa solo berlusconiana) , si scelse  il rottamatore Riva che aveva già fatto il favore ai governanti di "prendersi" e togliere la patata bollente di Cornigliano.

Piombino, Terni, Taranto avevano avuto in eredità lo stesso destino. Rimanere in piedi fino a che gli impianti reggevano, fino a che potevano stare sul mercato, finché la pace sociale promessa e mantenuta dai sindacati reggeva, tra una cassa integrazione e licenziamenti mascherati, finché i privati potevano ricavare profitti senza metterci neppure una lira ( poi euro) di investimenti. Si perché , tra l'altro, mai un privato figuriamoci poi l'imprenditoria italiana, poteva metterci dei soldi. Prima perché la borghesia produttiva è rappresentata da straccioni, poi perché in siderurgia si tratta di quantità spropositati per un singolo privato, poi perché il ritorno economico si misura in decina d'anni.
In questi anni si è dunque arrivati alla fine della corsa. Il ciclo a caldo degli impianti italiani non può reggere più la competitività mondiale e il progresso tecnologico senza investimenti. L''imprenditoria in questi casi che fa? Prende quel che può prendere e se ne va? O nel caso di Taranto , se non ci fosse stato il problemino dei morti per cancro, e quei cacacazzi comunisti della magistratura, avrebbe comunque chiuso l'area a caldo , comprato le bramme dall'estero, come aveva cominciato già a fare, e tirare gli impianti del ciclo a freddo, spremere la manodopera e la cittadinanza fra l'indifferenza e la compiacenza di sindacati e politici locali e nazionali.