LA MAFIA CON LO SCUDO

di Mario Centorrino 30.07.2009
Solo una parte trascurabile dei capitali rientrati in Italia con gli scudi fiscali dei primi anni Duemila si è diretta verso investimenti a rischio nell'economia reale. Del terzo scudo potrebbero ora approfittare le holding mafiose. Legalizzando a costi molto bassi somme che potrebbero alimentare circuiti di usura e di appropriazione di aziende in difficoltà. Nel Mezzogiorno avremmo così il paradosso di misure apparentemente di lotta alla criminalità organizzata, ma che invece finirebbero per facilitare l'aggressione a quel che resta di economia legale.
Le perduranti difficoltà di accesso al credito, denunzia il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, favoriscono fenomeni di usura e scalate alla proprietà di aziende, grazie alla disponibilità di liquidità acquisita illegalmente.
Sono due fenomeni molto diffusi elevati nel Mezzogiorno dove, secondo recenti dati, sono a rischio usura 500 mila famiglie e 600 mila piccoli imprenditori.
CAPITALI RIENTRATI E INVESTIMENTI
Come si collega a questa situazione l’imminente rientro di capitali illecitamente esportati all’estero, il cosiddetto scudo fiscale ter, inserito nel pacchetto anticrisi? L’entità dei capitali italiani riparati nei paradisi fiscali, dopo i primi due scudi fiscali (2001-2003) che riportarono in Italia circa ottanta miliardi, non è facilmente stimabile: si parla di circa 500 miliardi di euro attualmente nei conti off-store di società e trust di tutto il mondo. E ne dovrebbero rientrare tra i 60 e i 100 miliardi.
Nella precedente esperienza si valuta che le somme rientrate in Italia non si sono dirette, o lo hanno fatto solo in parte trascurabile, verso investimenti a rischio nell’economia reale. Val la pena ricordare che i precedenti scudi fiscali tendevano a recuperare capitali fuggitivi per paura di una svalutazione dell’euro. Questo terzo scudo fiscale è dedicato a capitali che hanno cercato, con successo, soprattutto di
sottrarsi all’imposizione fiscale.
Quel che interessa il Mezzogiorno non è tanto la quota spettante del “tesoretto” sanato quanto il pericolo che lo scudo fiscale si risolva a favore del crimine organizzato e vada ad alimentare circuiti di usura e di appropriazione di aziende in difficoltà.
Cosa sappiano della sorte effettiva toccata agli ottanta miliardi della passata manovra? Sono stati incamerati dal sistema bancario, sostiene il sostituto procuratore nazionale anti-mafia, Alberto Cisterna, senza che ne sia scaturito un numero significativo di operazioni sospette (meno di cento, in realtà). E senza alcun serio monitoraggio, continua Cisterna, sulle costituzioni delle provviste all’estero, sui loro titolari in Italia, sulle destinazioni degli impieghi ripuliti, con effetti negativi sul contrasto alla legalità.
IL PERICOLO DELL'ANONIMATO
Proviamo a formulare una sintesi delle diverse posizioni sul punto. Il governo, a buon diritto, vanta il fatto che ora tutte le attività finanziarie detenute nei paradisi fiscali si presumono costituite, salvo la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione e che sono esclusi dai benefici dello scudo fiscale 2009 i proventi di ogni tipo di reato. Dunque, sempre secondo il governo, le sanzioni contro i patrimoni della mafia hanno raggiunto livelli di inedita severità.
Guardiamo alla questione sotto un altro profilo, riportandoci alle argomentazioni di Cisterna. L’azione del governo contro i patrimoni illegali serve a poco, viene osservato, se contestualmente non se ne accompagna il rientro con misure investigative e di controllo. Resta trascurato il tema che riguarda la predisposizione di strumenti d’indagine per individuare le ricchezze illegali. E sul piano delle risorse investigative non s’intravede alcuna prospettiva di potenziamento così come l’imminente intervento sulle intercettazioni rischia di lasciare sguarnite le indagini sulla criminalità economica e sui reati dei “colletti bianchi” contigui alla mafia: bancarotta, falso in bilancio, riciclaggio. Qualcuno obietta che nell’ambito di una manovra di rientro dei capitali è assai difficile distinguerne la natura. Ma, viene ribattuto dagli esperti, Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza sarebbero in grado, se ci fosse la cosiddetta volontà politica, di progettare e realizzare un sistema di controlli tali da garantire la tracciabilità di capitali in rientro e stabilire gli effettivi titolari dei conti correnti.
È improbabile che lo scudo fiscale 2009 faccia rientrare capitali nel Mezzogiorno utili per sostenere la sua economia. Èinvece possibile che holding mafiose, approfittando dell’anonimato che caratterizza il provvedimento, approfittino dell’opportunità di poter utilizzare patrimoni “parcheggiati” all’estero e ora, “sdoganati” a costi risibili, per creare circuiti finanziari paralleli, approfittando di un “credit crunch”, che nel Mezzogiorno, per paradosso, gli istituti bancari negano, ma in tanti soffrono. E sarebbe opportuno che l’Antimafia ufficiale, giustamente impegnata oggi su “papelli” e “agende rosse”, rivolgesse un occhio attento anche a misure apparentemente di lotta alla criminalità organizzata ma che invece, a ben vedere, ed anche questo è un paradosso, potrebbero facilitare l’aggressione a quel che resta nel Sud di economia legale.