Uomo e Natura





Parlare di economia e non tener conto dell'ecologia e del rapporto economia/natura e uomo/natura e fare economia di classe
Da un articolo tratto da homolaicus
Zag(c)


Le condizioni generali del nostro pianeta, nel momento in cui ha fatto comparsa l'essere umano, dovevano essere molto particolari, poiché per moltissimo tempo nessun essere umano ha potuto viverci.
Questo significa che la natura, nel suo complesso, ha leggi che possono anche non tener conto delle caratteristiche umane.
Tuttavia, se consideriamo l'essere umano come il prodotto più evoluto della natura, è difficile pensare che la natura possa avere delle leggi che contrastino in maniera irreparabile con la sopravvivenza dell'essere umano.
Se e quando la natura sembra comportarsi così (vedi le cosiddette "catastrofi ambientali"), ciò molto spesso dipende dagli effetti che le azioni degli uomini provocano sul pianeta, nel senso che la natura restituisce all'uomo il danno che è stato arrecato alle sue proprie leggi.
L'essere umano è l'unico ente di natura che può causare un danno irreversibile alla natura. I danni a volte sono così macroscopici che si stenta persino a credere che siano stati provocati dall'uomo e si preferisce pensare che esistano delle leggi di natura la cui comprensione in parte ci sfugge.
E' comunque davvero singolare constatare come la natura, pur senza averne la necessità, pur senza essere costretta da alcunché, abbia saputo modificare le proprie condizioni generali per permettere all'uomo di esistere.
In assoluto non esiste nulla all'esterno dell'uomo più prezioso della natura e nulla al suo interno più importante della coscienza. Se natura e coscienza non riescono a coesistere, il più delle volte la responsabilità è della coscienza.
Sono scomparse intere specie animali (p.es. i dinosauri), esistite per milioni di anni, per far posto alla specie umana; e sono scomparse non perché l'uomo le abbia distrutte ma proprio per permettere all'uomo di esistere.
Da questo punto di vista la diversità dell'essere umano da qualunque essere animale è così evidente da far escludere una parentela comune. Al punto che anche quando l'uomo si comporta in maniera disumana, qualunque paragone col mondo animale è improbabile, in quanto gli animali, in condizioni naturali, non hanno mai comportamenti peggiori di quelli che possono avere gli uomini.
L'uomo non può avere un antenato in comune con le scimmie più di quanto non l'abbia coi pesci o con qualunque altro mammifero. Le uniche affinità possibili sono soltanto quelle sul piano fisico, in quanto l'uomo è nato per ultimo e la natura ha dovuto tener conto di esperienze collaudate. In tal senso la "sintesi umana" è ben più grande della somma delle sue parti, nel senso che se attribuissimo tale superiorità ai prodotti che l'uomo riesce a creare, non potremmo mai uscire dalle determinazioni quantitative e non riusciremmo a spiegare la vera differenza qualitativa che lo separa dagli animali.
La natura ha subito un'evoluzione che trova nell'uomo il suo compimento, poiché è chiarissimo come essa sia passata da un primato attribuito alla forza e all'istinto a un primato attribuito all'intelligenza e alla sensibilità. La natura ha trovato nell'essere umano il principio della propria razionalità e libertà. Essa ha prodotto una specie la cui libertà, per la prima volta, ha raggiunto i livelli massimi dell'autoconsapevolezza e, negativamente, ha potuto volgersi contro le stesse leggi di natura.
Tutto ciò fa pensare a una sorta di finalismo. E' come se l'essere umano fosse il fine ultimo della natura. Cioè è come se la natura fosse stata posta non tanto per se stessa, pur avendo in sé ogni ragion d'essere, quanto per qualcosa che alla fine l'avrebbe superata.
A questo punto vien quasi naturale pensare che non solo la terra sia in funzione dell'uomo, ma anche l'intero universo. Al punto che il fatto stesso che l'universo sia esistito miliardi di anni prima della nascita dell'uomo non sta a significare nulla che possa mettere in discussione il primato assoluto dell'uomo.
Non esiste un vero primato della natura sull'uomo, poiché, se esistesse, noi, esattamente come le specie animali, non lo conosceremmo. Ci sarebbe e basta. Gli animali vivono istintivamente la loro dipendenza dalla natura e non la mettono certo in discussione.
Viceversa l'uomo è l'unico "animale" che prova nei confronti della natura un naturale senso di superiorità, relativa, certo, in quanto la natura è comunque il luogo in cui si deve vivere, ma reale, profondamente sentita.
Quindi questo significa che tutta la natura è stata posta in funzione dell'uomo, pur non avendo essa, per vivere, necessità alcuna dell'uomo. E ogni tentativo di far sentire l'uomo una piccola particella della natura contrasta decisamente col senso acuto della sua diversità, che è basata essenzialmente sulla consapevolezza di sé.
La cosa strana è che in natura non esiste alcun altro essere che abbia come l'uomo un grado così elevato di autoconsapevolezza. Se tale caratteristica fosse propria della natura, la si sarebbe dovuta constatare anche in altre specie animali.
Invece con tale caratteristica, che è tipicamente umana, in quanto attribuibile solo all'essere umano, la natura è riuscita ad andare ben al di là dei propri limiti.
Dunque non è facilmente spiegabile come sia potuto accadere che l'essere umano risulti nel contempo parte di un'evoluzione e indipendente da questa. E' come se alla nascita dell'uomo abbiano concorso fattori indipendenti dalla natura terrestre.
Ora, se è vero -come vuole la religione- che tutto l'universo soffre le doglie del parto, allora questo significa che la terra è un luogo di fecondazione e che l'essere umano svolge il ruolo di un feto e che il luogo in cui deve porsi come "neonato" probabilmente non è quello dell'universo.
Ecco perché sarebbe meglio parlare di "pluriversi". Il fatto che per noi l'universo sia qualcosa di infinito non significa nulla di decisivo ai fini della nostra identità e del nostro destino: infatti con la nostra autocoscienza già ne vediamo il limite. Gli aspetti fisici della condizione in cui noi umani viviamo sono del tutto irrilevanti rispetto alla sensazione della nostra diversità.
Gli uomini anzi dovrebbero concentrare i loro sforzi più verso la salvaguardia della loro specie e del loro rapporto con la natura, che non verso la conoscenza delle leggi e delle caratteristiche dell'universo. Nessuna legge fisica o chimica o di altra natura è più complessa della coscienza umana.
L'unica cosa che veramente conta in tutto l'universo è che esistono degli esseri pensanti in grado, secondo varie modalità, di riprodursi all'infinito.
La riproduzione sembra essere così connaturata all'essenza dell'uomo che vien quasi da pensare che lo scopo supremo della natura sia proprio quello di permettere all'essere umano di riprodursi il più possibile. Nel passato la religione diceva che l'universo finirà quando gli uomini avranno raggiunto il numero delle stelle. Il che ingenuamente stava a significare che non si riteneva possibile un'assoluta infinità dell'universo.
L'essere umano è destinato essenzialmente a riprodursi e ogni forma riproduttiva non di tipo fisico (come p.es. quella intellettuale) risulta comunque essere una forma sublimata della riproduzione fisica, la quale, in ultima istanza, risulta essere decisiva ai fini della salvaguardia della specie.
E' impossibile spiegare il motivo del primato di questa fisicità, che in parte lo condividiamo, come istinto, con gli animali, in parte no, in quanto accettiamo anche consapevolmente la riproduzione, sapendo di poterla evitare.
Una piccola dimostrazione di questo primato ci è data dal fatto che di tantissime popolazioni esistite nel passato non sappiamo quasi nulla, se non che si sono riprodotte fisicamente, permettendo a noi di esistere. Questo le rende non meno importanti di quelle popolazioni che si sono riprodotte anche in altre forme.
Se la riproduzione fisica non fosse alla base dell'esistenza umana, non ci sarebbe equivalenza tra i sessi, ma disparità, specie nel numero. Ma anche una riproduzione fisica non naturale può procurare delle disparità, come p.es. nei paesi poveri, dove si tende a privilegiare il maschio, o, al contrario, nei paesi ricchi, dove con la fecondazione artificiale si tende a considerare poco significativa la presenza maschile.
In generale dobbiamo affermare che se la "produzione" fosse più importante della "riproduzione", la differenza di genere potrebbe anche essere irrilevante, invece risulta essere decisiva. L'uomo e la donna sono fatti essenzialmente per riprodursi e qualunque tentativo di mettere in discussione questa realtà di fatto produce inevitabili disastri.
In particolare ciò che va salvaguardato è il fatto che nell'essere umano il processo riproduttivo non è meramente istintivo, come negli animali, ma supportato dalle leggi dell'attrazione psico-fisica e spirituale. La migliore e più sicura riproduzione è quella basata sull'amore reciproco. Optare per una riproduzione senza i presupposti dell'amore significa svilire la coscienza umana (cfr p.es. i matrimoni d'interesse), in quanto anche nell'animale, allo stato naturale, vi sono aspetti che riguardano l'attrazione.
Questo significa che la riproduzione dovrebbe avvenire nel rispetto di alcune fondamentali compatibilità: sicurezza personale, soddisfazione dei bisogni primari, parità dei sessi, possibilità di sviluppo del nascituro...

I LIMITI DELLA TECNOLOGIA
La tecnologia diventa sempre più complessa e lo sforzo che si deve fare per dominarla o controllarla o anche solo usarla nel migliore dei modi, non ripaga la collettività dei risultati sperati.
Di per sé la tecnologia non è in grado di risolvere alcun problema se a monte non esiste una determinata volontà (sociale o politica).
La tecnologia può servire al capitale per aumentare i profitti, ma questo di per sé non significa che i cittadini ne trarranno un sicuro beneficio.
La maggior parte dei cittadini oggi è in realtà vittima della tecnologia, in quanto non è più in grado di dominarla.
La tecnologia più avanzata viene sfruttata solo dalle grandi industrie. Le piccole e le medie si basano di più sullo spirito di sacrificio dei proprietari, sul contenimento dei salari e degli stipendi, sui piccoli sotterfugi...
Lo sviluppo della tecnologia è avvenuto in occidente in maniera convulsa e senza un vero legame con le esigenze della società. Si è giustificato il suo sviluppo dicendo che avrebbe soddisfatto esigenze sociali. In realtà la tecnologia è sempre stata al servizio del grande capitale e quando questo servizio non era subito esplicito, essa non ha avuto lo sviluppo che i tecnici e gli scienziati avevano prospettato.
Occorre dunque chiedersi se abbia ancora senso continuare a sviluppare la tecnologia quando di fatto restano sempre irrisolti i grandi problemi dell'umanità.
Ha ancora senso credere che tali problemi possano essere risolti da un ulteriore sviluppo della tecnologia, quando proprio questo sviluppo finirà col creare nuovi problemi ancora più difficili da risolvere?
La tecnologia, in realtà, non serve a nulla, anzi serve solo a procurare guasti sociali e ambientali. I suoi benefici sono ben poca rispetto ai guasti che provoca.
Bisogna mettere sul piatto della bilancia entrambe le cose: tecnologia e vantaggi sociali (che devono essere evidenti nel breve periodo). Se lo facessimo ci renderemmo facilmente conto che si stava meglio non quando c'era meno tecnologia (il che sarebbe un non-senso), ma quando si dava maggior peso alle questioni sociali.
Se la tecnologia serve nell'immediato a esigenze sociali, ha un valore e quindi un senso, altrimenti è sempre sospetta e come tale va temuta.

L'UOMO TELEOLOGICO
Il fine ultimo dell'essere umano è quello che vivere un'esistenza equilibrata, secondo natura. Gli eccessi vanno sempre evitati, in quanto indice d'immaturità.
Forse qualcuno può pensare che l'esistenza della morte può di per sé giustificare la realtà degli eccessi. Tuttavia, il fatto stesso che non si concepisca la morte come una componente fondamentale dell'equilibrio, è già di per sé indice di una deviazione dalla normalità.
Ritenersi assolutamente più importanti della natura, al punto di voler negare l'evidenza dei fatti, e cioè che il processo della vita include quello della morte, è una caratteristica dominante della cultura occidentale.
L'uomo occidentale tende a sopravvalutare la propria importanza e a sottovalutare quella della natura.
Il problema è che la ricerca dell'equilibrio difficilmente può essere fatta in una società in cui l'eccesso è stato innalzato a sistema.
In tale società ci si illude di raggiungere l'equilibrio con l'atteggiamento della rassegnazione.
Essere equilibrati non significa altro che accettare supinamente la forza degli eccessi, ovvero porsi da un lato in maniera distaccata, poiché sul piano personale si ambisce a un certo distacco, e dall'altro lato porsi in maniera tale da non voler più mettere in discussione l'assurdità di certi eccessi.
Questa, in sintesi, era la posizione dei filosofi stoici del mondo classico, i quali, mentre nella vita privata non avevano vizi e conducevano un'esistenza esemplare, sul piano pubblico invece si guardavano bene dal contestare lo schiavismo e la dittatura imperiale.
I filosofi erano equilibrati semplicemente perché non mettevano in discussione gli antagonismi sociali del loro tempo.
Questo per dire che gli eccessi possono essere superati solo da chi li subisce. Quando gli uomini dimostrano di possedere l'intelligenza e la forza di volontà per superare gli eccessi, ecco che allora si passa da una forma di civiltà a un'altra.
Queste cose, nella storia, avvengono piuttosto raramente. Molto più spesso infatti si verificano i fallimenti dei tentativi per superare le contraddizioni antagonistiche.

TERRA E UNIVERSO
Non è così pacifico che la comparsa del genere umano sia frutto di un'evoluzione "naturale". E' vero che tra noi e le scimmie vi è solo un 2% di diversità genetica, ma è anche vero che questa percentuale ci rende incredibilmente diversi non solo dalle scimmie ma anche da qualunque altro animale.
Dunque deve esserci stato nella storia dell'evoluzione naturale degli animali un momento particolare, in cui è avvenuta una specie di salto improvviso, imprevisto, del tutto "innaturale", da una condizione di vita a un'altra.
E' molto difficile pensare che l'essere umano sia un prodotto "spontaneo" della natura. E la sua comparsa sulla terra, anche se è avvenuta in tempi geologici relativamente recenti, non sta di per sé a significare la presenza di una linea evolutiva dal semplice al complesso. Questa linea indubbiamente esiste, ma con molta difficoltà la si potrebbe applicare al genere umano.
Osservando la specifica peculiarità del genere umano, che è la libertà, l'arbitrio, la coscienza di sé ecc., vien quasi da mettere in dubbio che l'umano sia un prodotto della natura, la quale non conosce affatto queste cose, e vien quasi da pensare che sia invece la natura una forma espressiva dell'umano, un suo prodotto creativo. Nel senso cioè che l'umano è in grado di produrre se stesso e "altro da sé", e questo "altro da sé" sarebbe appunto tutta la natura.
Una cattiva riproduzione di sé (p.es. con la creazione delle civiltà antagonistiche) avrebbe portato a una cattiva riproduzione della natura, che si sarebbe per così dire "ribellata" al proprio creatore. Quando la natura si ritorce contro l'uomo è per fargli capire che il suo stile di vita è anti-umano e quindi contro-natura.
L'umano dunque precede la natura come idea che dà senso alle cose, come intelligenza dell'universo. L'umano ha creato la natura in tutte le forme possibili, finché ad un certo punto ha creato se stesso; il "sé" dell'uomo contiene, in nuce, tutta la natura, come il microcosmo contiene tutto il macrocosmo.
L'umano non va collegato al pianeta terra più di quanto vada collegato alla dimensione dell'universo. Nell'universo c'è una tendenza all'umano, allo sviluppo dell'umanità. La terra è appunto il pianeta in cui questa tendenza s'è estrinsecata. Non ci sono duplicati identici nell'universo. La legge fondamentale che domina l'universo è l'asimmetria.
Quindi, sotto questo aspetto, non è neppure esatto dire che tra lo sviluppo del genere animale e quello del genere umano vi è stata una rottura inaspettata, imprevista. La comparsa sulla terra del genere umano sembra essere connessa all'esaurimento delle possibilità evolutive del genere animale.
La terra è parte dell'universo; il genere umano, a differenza di quello animale, è parte costitutiva, strutturale, organica dell'universo. Fino ad oggi abbiamo guardato l'universo dalla terra, dobbiamo invece fare il contrario. Si rassicurino gli atei: in tutto questo dio non c'entra niente. Non esiste alcun dio nell'universo. Esiste solo l'uomo.

PRODUZIONE E RIPRODUZIONE
Chi non si fa determinare dai ritmi e dalle leggi della natura è perché dal punto di vista sociale vuole imporre un modus vivendi di tipo individualistico, contro le leggi vigenti di un determinato collettivo.
Tale modus vivendi può anche essere quello di un gruppo minoritario contro uno maggioritario. Lo scontro può avvenire sulla base del fatto che il gruppo minoritario tende a puntare la sua attenzione su aspetti di tipo artificiale, come p.es. lo sviluppo della scienza e della tecnica, in modo da acquisire una supremazia a livello produttivo o una apparente minore dipendenza dalle leggi di natura.
Si tratta di un'indipendenza solo apparente sia perché ad un certo punto il gruppo minoritario, per sostenere i suoi livelli artificiali di vita, ha bisogno di saccheggiare le risorse altrui, sia perché la natura tende a riprendersi ciò che le appartiene e che le permette di riprodursi. Una qualunque violazione alla sua capacità riproduttiva si ripercuote sulla capacità riproduttiva degli esseri umani: di qui p.es. la proliferazione dei deserti.
Il nostro modello di sviluppo non funziona non solo o non tanto perché di tipo capitalistico, quanto perché esso non è in alcun modo conforme alle leggi della natura. Non basta affermare la proprietà sociale dei mezzi produttivi, bisogna anche riformulare in toto il concetto di sviluppo, quindi anzitutto i concetti di produzione e di mezzi produttivi.
Un mezzo è "produttivo" quando non ostacola il processo "riproduttivo" della natura. Qualunque comodità o agevolazione che l'uomo può andare a ricercare con la propria intelligenza creativa, deve risultare compatibile non solo col modus vivendi dei propri simili, ma anche con quello tradizionale della natura.