la balla del cuneo fiscale


Uno dei cardini del nuovo governo per la soluzione e per la crescita è il cuneo fiscale. E anche qui, è da almeno una decina d'anni e per svariati governi che sentiamo questa nenia , questo canto scaramantico, questa soluzione e panacea. Oggi , e come poteva non esserlo, si è mostrato d'accordo a questo mantra il Sole 24 Ore. Raccontando i vantaggi e le miracolose virtù salvifiche che un tale provvedimento produrrebbe portando a dimostrazioni realtà e dati empirici che non fanno parte della nostra realtà , ma solo di una realtà virtuale adatta a quella soluzione , ma che non ha nulla a che fare con la nostra. Pro domo sua, naturalmente.

Il provvedimento è voluto dal neo ministro dell'economia ex dell'OCSE. E infatti è la OCSE a osannare questo provvedimento. Ma la stessa OCSE ci dice che i dati comparati dimostrano che la differenza fra il salario netto e quello lordo nel nostro paese è intorno al 47,6% leggermente inferiore rispetto a paesi come  Belgio, Francia, Germania, Ungheria e Austria, ma superiore alla media dei Paesi industrializzati (pari al 35.6%). Come minimo questo dovrebbe far pensare che vi sono altre cause, altri rimedi per la nostra non crescita ( non che gli altri l'abbiano la ripresa). Ma oltre a dati empirici il cuneo fiscale rimane solo un aiutino alle imprese ( che avrebbero voluto un finanziamento di almeno 20 miliardi e non di un risicato 10 , come  annunciato, come ha avuto a lagnarsi Squinzi). Anche questo misero ( per la Confindustria) aiutino dovrà essere finanziato attraverso i tagli di spesa pubblica 
Ma mi chiedo , se questo del cuneo era anche la priorità dei governi precedenti perché dovrebbe riuscire nell'impresa il Governo Renzi, laddove – a parità di condizioni politiche e del quadro macroeconomico – il precedente Governo non ci è riuscito? Ma queste sono eccezioni di un miscredente e quindi non contano. 

Perché non serve alla ripresa il cuneo fiscale?
Ammesso che si riesca a razionalizzare la spesa pubblica( tagliarla) per trovare i finanziamenti, questa inevitabilmente porta ad un restringimento del mercato interno per le imprese che sono dediti a questo settore, mentre le imprese che esportano ne traggono vantaggio in quanto comporta un abbassamento della forza contrattuale dei lavoratori e quindi dei salari quindi un abbassamento dei consumi e meno importazione. Questa semplice deduzione di logica di economia  indica che in realtà questo del cuneo è solo lotta fra settori della classe imprenditoriale e vede come carne da macello i lavoratori. In questo senso non c'è nulla di nuovo. E' la politica di cui è portavoce autorevole il ministro Padoan e tutti quelli che si sono succeduti a questo dicastero. 
Una eccezione potrebbe essere che il cuneo fiscale porta ad un aumento dei salari netti e quindi ad un aumento dei consumi. Da uno studio fatto dallo stesso entourage renziano (Taddei) per un salario di 1600 euro ( che non sta ne in terra ne in cielo) nelle "tasche" dei lavoratori entrerebbero 50 euro. Questo deve fare i conti che quel che rimane del welfare in Italia e che dovrà ancora subire un taglio per 10 miliardi e ciò comporta aumento per la spesa sanitaria, per la  scuola, ecc ecc . a carico dei lavoratori. Vi è quindi da aspettarsi un ulteriore dimagrimento dei salari e non un "aiutino" 
Per questo l'ipotesi di cui sopra è convalidata e l'eccezione smentita. 

Certo come in tutte le cose i provvedimenti non sono fallaci di per se , ma dipende dal contesto. Una riduzione del cuneo fiscale avrebbe effetti benefici se ci fosse una piena occupazione, visto la larga platea dei beneficiari e neppure una diminuzione dell'IRAP porterebbe , dato il contesto macroeconomico, ad investimenti. Perché come anche uno studente del primo anno di economia sa, la propensione all'investimento dipende dalla prospettiva del profitto e sopratutto dal tasso di profitto atteso. E sicuramente queste due precondizioni, oggi, non depongono a favore per l'investimento. Nella situazione data e data la crisi attuale gli interventi dovrebbero andare nella direzione della domanda aggregata e non nell'offerta. O comunque in un massiccio intervento verso la domanda aggregata ed a seguito nell'offerta  sopratutto nella direzione del credito di impresa
Ma da sola questa politica di tipo Keynesiana non basterebbe. Oggi vi è una desertificazione industriale e in mancanza di una politica industriale, di un piano strategico le imprese fanno produttività abbassando i costi e quindi il salario. Non innovano e non introducendo innovazione tecnologica. L'altro fronte con cui si fronteggia la produttività e nel campo delle ore di lavoro. L'International Labour Office, registra che, fra i Paesi dell’Unione Monetaria Europea, è nei Paesi periferici (Italia inclusa) che si verifica che i lavoratori occupati lavorano più ore. Fra questi, il primato spetta alla Grecia, ovvero al Paese che fa registrare i più bassi tassi di crescita nell’eurozona .  

Naturalmente tener conto di questi dati comporterebbe un cambio di strategia politica,una visione diversa , ma sopratutto governi e ceto politico di ben altra stoffa, di ben altra cultura e spessore. 
Ma noi ci dobbiamo accontentare del rottamatore che ricicla ferro vecchio?