Racconti di repressione – La passeggiata del terrore, contributi dalla terra di Bari



DICEMBRE 12, 2017


Questo racconto ho voluto scriverlo per condividere con compagne e compagni la mia esperienza di lotta al financo del popolo NOTAP

Ringrazio innanzitutto per la solidarietà che ho ricevuto dai compagn* e dagli attivist* del movimento NOTAP. Ciò che ho subito insieme a tanti altri è stata un aggressione a cielo aperto. E tutto questo non deve rimanere in silenzio. Le forze dell’ordine si sono accanite su di noi sia verbalmente con ingiurie e offese sessiste che fisicamente con i manganelli alla mano. Ero per terra quando ho ricevuto la prima manganellata; colpita alle spalle, mi giravo e rivolgendo lo sguardo verso l’alto vedevo la sagoma di un poliziotto che mi sferrava un secondo colpo con il manganello. D’istinto ho alzato il braccio per proteggermi. La manganellata è arrivata e se non fosse stata per la solidarietà attiva di due compagne che si trovavano vicino a me, avrebbe continuato. Il tempo per realizzare ciò che stava accadendo veniva scandito dal dolore al braccio e al gomito, tanto da non riuscire più a muoverlo nel giro di pochi secondi. Sono seduta a terra e sento le voci dei miei compagni e le urla di un dirigente di PS che camminando avanti e indietro con il manganello nella mano, fomentava i suoi sottoposti con odio e rabbia contro persone oramai immobilizzate, costrette a stare in ginocchio e con le manette ai polsi.



Intorno a noi un clima di feroce barbarie. Non ci si poteva muovere manco per prendere l’acqua dallo zaino che subito arrivava il celerino. Non è mancata la battuta squallida da parte di un agente verso una ragazza che era vicino a me: “Ti piacciono le manette eh?”. Bastardo. Dopo circa due ore siamo stati divisi in gruppi da 6/7 persone e condotti verso i blindati. All’interno del pulmino non ci si poteva avvicinare con lo sguardo al finestrino che immediatamente una guardia arrivava a chiudere la tendina per impedircelo. Durante il tragitto non mancavano le risatine tra le guardie di sottofondo. Una scena divertente eh?…

Ci hanno portato in questura e condotti in una stanza che li rappresentava tutti metaforicamente. La luce bianca e fredda dei neon rifletteva il clima intorno a noi. Abbiamo chiesto di poter andare in bagno. Anche questo è avvenuto a rilento. Seduta per terra inizio a sentire dolore alle gambe per i colpi ricevuti mentre il dolore al mio gomito aumenta. Dovevo farmi forza; avrei voluto piangere, ma non l’ho fatto perché quelle bestie non meritano soddisfazione. Niente sedie nella stanza bianca, seduta per terra per due ore su quel pavimento ghiacciato finalmente vedo una infermiera del 118. Un’altra ragazza ha il corpo a macchie violastre e nere come il mio. Se non fosse stato per un’infermiera determinata che si è imposta su una dirigente della digos saremmo rimaste in quelle condizioni per lungo tempo. Questa è stata forse la sensazione più terrificante che ho subito. L’indifferenza e il totale menefreghismo nei nostri confronti. Trascorso diverso tempo e dopo avermi foto segnalato e preso le impronte, sono riuscita a salire in ambulanza, nonostante tutti i loro tentativi di rallentare la procedura, riuscendo a portare con me il cellulare. Una volta giunta in ambulanza sono scoppiata a piangere. Avevo bisogno di tirare fuori la rabbia e il dolore contemporaneamente è stato il primo momento in cui mi sono sentita libera dopo diverse ore. In ospedale il calo emotivo della tensione era inversamente proporzionale alla preoccupazione per i miei compagni. Ero sola ma sapevo che c’erano i compagn* che pensavano a me. Non dimenticherò mai chi si è mosso per proteggermi dalla carica della polizia così come chi mi ha aiutato in questa dura vicenda. Di tutta questa storia conserverò per sempre la solidarietà ricevuta, gli abbracci e i sorrisi che ho ricevuto da chi come me ha subito una brutale repressione da parte delle forze dell’ordine e dello Stato.