La quadratura del cerchio
È un segno dei tempi il fatto che, a sette anni circa di distanza,
quanto accaduto a Genova nel luglio del 2001, come pure i conseguenti
strascichi, continuino a destare stupore ed indignazione.
Dopotutto non è successo nulla di così diverso da molte altre volte in
cui la popolazione di questo o quel paese sia scesa in piazza per
cercare di interrompere l’inesorabile avanzare dello schiacciasassi
capitalista. La storia di queste lotte è costellata di morti
“giustiziati”, abbattuti per strada, incarcerati, torturati, eccetera.
Ed il fatto di abbassare i livelli di aggressività o delle richieste in
dette manifestazioni, non è mai stato garanzia di minor livello
repressivo, soprattutto quando si parla di capitalismo in crisi e
furiosamente alla ricerca di mantenere le proprie quote di profitto.
Così non è strano che la repressione appunto si sia abbattuta su
chiunque sia sceso in piazza in quei giorni. Semmai strano è il non aver
notato i segnali abbondanti che avvisavano di tale repressione.
A Napoli (occorre ricordarlo, con governo di “centrosinistra”) i
manifestanti erano stati rinchiusi e pestati senza scampo in una piazza.
A Goteborg, solo l’errore di mira del poliziotto che ha sparato ha fatto
sì che non ci fosse il morto. Chi ha visto il filmato lo può confermare.
A Genova, il dispiegamento di forze, sia nella quantità, sia nella
qualità di queste forze (incursori, reparti speciali dei carabinieri e
dell’esercito impiegate in scenari di guerra, equipaggiamenti
particolarmente avanzati) rendeva manifesto quello che in effetti è
successo dopo: la città è stata _presa militarmente_, e le decine e
centinaia di migliaia di manifestanti sono stati utilizzati come
bersagli di un’addestramento alla repressione di una sommossa popolare.
Niente truppe sfuggite al controllo, niente panico e disorganizzazione,
o ragazzini sprovveduti. Le linee del comando erano saldamente
collaudate e coordinate. Indicativa anche la presenza nella sala
operativa di tre esponenti di AN, partito che, oltre ai legami di
parentela diretti (fratello di Gasparri alto ufficiale dei Carabinieri),
da anni lavora capillarmente per radicarsi nelle forze armate, che
occorre ricordarlo, non sono più i “figli del popolo” di cui parlava
Pasolini, ma professionisti addestrati e lautamente ricompensati.
L’equipaggiamento, il numero dei colpi sparati, le percosse e le torture
inflitte, la spedizione punitiva alla Diaz, tutte cose già ampiamente
commentate.
Ma la forza pubblica non si compone solo di uomini armati; di essa fanno
parte anche settori che dovranno in seguito ed a titolo più duraturo gestire
ed amministrare la repressione: istituti di pena, e magistratura, anch’essa
parte di questa forza pubblica.
Ecco perchè appare abbastanza desolante vedere quanta gente, anche
uomini e donne che hanno vissuto le lotte degli anni ’60 e ’70, in
lacrime, stupiti ed indignati per sentenze che non rispondono alle loro
aspettative. Come se si potesse sperare che la mano sinistra punisca
quel che ha fatto la destra.
È ingenuità pura sperare che uno Stato ordini tramite un suo funzionario
un’azione repressiva di una certa intensità, vista l’efficenza lo
promuova a ruolo di maggiore responsabilità, dopodichè, lo punisca per
soddisfare la voglia di giustizia degli oggetti della repressione.
Ma d’altra parte è ingenuità tipica dei tempi, in cui si usano
impropriamente termini come “globalizzazione”, “neoliberismo”, “impero”,
senza rendersi conto che si sta parlando sempre della stessa bestia, lo
sfruttamento capitalista, confondendone anzi la percezione proprio
dandogli mille nomi.
E di questa ingenuità hanno responsabilità enormi tutte quelle forze
politiche e sindacali della “sinistra” che per decenni, ma tuttora lo
fanno, hanno incitato i lavoratori ai sacrifici per salvare il paese, la
produzione, l’economia; che hanno additato, denunciato e consegnato
nelle mani della repressione quanti non si adeguavano ai loro giochi di
potere e poltrona; proprio quelli che nei giorni del G8 di Genova
chiedevano a gran voce perchè la repressione ha colpito loro e non i
Black Bloc, accreditando così le menzogne dello Stato inventate per
giustificare in maniera ipocrita una repressione di massa in realtà
voluta e pianificata freddamente.
L’unico modo per trarre profitto dagli insegnamenti di quei giorni in
realtà consiste nel buttare nella spazzatura tutte le illusioni e le
menzogne che continuano a rifilarci in nome di un presunto progresso:
sacrifici, guerre, miseria, sfruttamento, individualismo, e si torni a
sentirci tutti e tutte parte di un’unica classe che ha rispetto se
stessa un unico dovere, quello di liberarsi del capitalismo.
So che può sembrare semplice teoria, ma è la pratica nella storia a dire
questo, non certo io, e d’altra parte, non c’è bisogno di formule
magiche pronunciate da questo o quell’intellettuale per capire che non
si può più subire e starsene a piangere.
-(Rapt)-
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