Stagionalità vuol dire precarietà e questa si paga!


La vendono come conquista, come rivoluzione culturale. E in realtà da un certo punto di vista lo è, ma quale sia questo punto di vista è un altro discorso.
Prendiamo il Job Act. E’ sicuramente una contro-rivoluzione, una legge che in parte lo ha già ma lo sarà ancor di più sconvolto il consensus gentium

E rivoluzionerà in senso riduttivo a partire dai più deboli e precari. Si parla dei lavoratori stagionali,  camerieri, bagnini, cuochi e animatori di villaggi turistici. Qualche decennio fa questi mestieri erano riservati ai meno scolarizzati, ai più giovani che non avendo voglia di studiare i genitori  a mò di sprono gli dicevano “ Vedi che ti mando a fare il cameriere?!” Oppure i ragazzini, nel dopo scuola, nelle città meridionali soprattutto, si potevano vedere con il loro lungo fino alle caviglie grembiule bianco  servire ai tavoli oppure a portare i caffè. Oggi la “democratizzazione” della società capitalista ha portato a far accedere a questi mestieri soprattutto giovani laureati in attesa di miglior sistemazione , giovani “bamboccioni” , non troppo “choosy”. Ma anche over 40-50anni licenziati che per sfamare si adattano
Già la “ministra lacrimevole” ci aveva pensato e tra una lacrima e l’altra, aveva dato una bella mazzata con la ASPI e la mini ASPI. Ora ci ha ancora pensato Renzi che senza “lacrimare” una sola goccia,  ha imposto la NASPI. Cambia il nome e si riduce dignità e diritti dei lavoratori. Ma tutto in nome e nel nome del progresso e delle riforme che cambieranno l’Italia. E da “sinistra”. Perché secondo la nuova definizione essere di sinistra è cambiamento non importa quale. Anzi più si peggiorano le condizioni dei lavoratori più si è di sinistra. Più si smantellano diritti, salari e tutele più si è progressisti.  
Sono circa 300 mila coloro che saranno colpiti e che vedranno dimezzarsi una tutela su cui, finora, avevano potuto fare affidamento. La svolta scatterà l’1 maggio, quando la nuova assicurazione sociale per l’impiego entrerà in vigore. Per avere accesso a questo sussidio, il disoccupato deve avere lavorato per almeno 13 settimane nei quattro anni e 30 giorni nei 12 mesi che hanno preceduto la perdita del posto.
L’assegno sarà erogato per la metà delle settimane lavorate negli ultimi anni, ma ogni volta che si perde il lavoro il calcolo ricomincia da zero! Se si lavora nei 12 mesi precedenti 15 giorni alla volta con una pausa anche solo di un giorno fra una quindicina e l’altra, non si ha diritto all’indennità. I 30 giorni cioè devono essere continuativi.
Non solo.
Per definizione sono lavoratori definiti stagionali cioè lavorano per sei mesi all’anno non per pigrizia o nullacazzofacenti , ma per la tipologia del lavoro in se.
L’attuale Aspi garantiva loro un’indennità per i restanti sei mesi, in cui rimanevano disoccupati. Dall’1 maggio, con l’avvento della Naspi renziana, questo meccanismo salterà: potranno ricevere l’assegno solo per la metà delle settimane lavorate, quindi tre mesi, restando per altri tre mesi senza sussidio. Questi lavoratori sono la personificazione del lavoro flessibile tout court. SI vuole antropomorfizzare il lavoro flessibile? Bene parliamo dei lavoratori flessibili. Si lavora nei giorni festivi, weekend , mentre gli altri sono in vacanza , in festività, lavoratori a chiamata, part time e tutte le altre 47 forme di precariato oggi consentite, bene nei lavoratori stagionali trovano concretezza tutti insieme . E dulcis in fundo ci si accanisce ancor di più su di loro e gli viene decurtato anche l’indennità.  
Ma mica finisce qua!
A dimostrazione che piove sempre sul bagnato o che più sei debole e più ci si accanisce contro.
Manco a dirlo il contratto di categoria e fermo ormai da qualche anno, Manco a dirlo. Si è fermi perché i “datori di lavoro” chiedono ai sindacati che il contratto sia rinnovato addebitando il costo agli stessi lavoratori i quali devono rinunciare ai loro diritti come scatti di anzianità, permessi e indennità di malattia
E lo chiedono in maniera naturale come se fosse una richiesta ovvia e si stupiscono, rimangono allibiti di fronte alla resistenza dei lavoratori a tale richiesta