Daniel Bensaid, il filosofo della politica profana


di Benedetto Vecchi
Uno studioso che usava le parole per portare «l’immaginazione al potere». È stata questa la «cifra» del filosofo Daniel Bensaid, morto ieri in Francia dopo una lunga malattia. Formatosi sulle barricate del Sessantotto, Bensaid è sempre rimasto fedele a quella «iniziazione» alla politica e alla filosofia che voleva rovesciare un mondo. La sua morte interrompe inoltre un percorso di ricerca incentrato su una «riscoperta» dell’opera di Marx per comprendere, nuovamente, una società borghese e un capitalismo tanto cambiato, quanto uguale nel riproporre asimmetrie di potere e un modo di produzione della ricchezza incardinato nel lavoro salariato.
In Francia il nome di Daniel Bensaid è legato alla IV internazionale, ma del profilo e dei luoghi comuni associati ai militanti delle organizzazioni trotzkiste aveva ben poco.
Mai assertivo, anche quando metteva in secondo piano l’esercizio del dubbio, come nelle polemiche contro le posizioni degli intellettuali ex-sessantottini, divenuti ideologi dei diritti umani in nome dei quali ogni politica neocoloniale e imperialista è legittimata, ha a lungo cercato di riprendere il bandolo della matassa di un pensiero critico smarrito, come amava spesso ripetere, nel labirinto del postmoderno. Nei volumi Fragments mécréants : Sur les myths identitaires et la république imaginaire (Lignes)e ne Un nouveau théologien: Bernard-Henri Lévy (Nouvelles Éditions Lignes) Bensaid ha svolto un ritratto collettivo degli intellettuali francesi dopo la sconfitta del Sessantotto, rigettando tuttavia la categoria del tradimento, indicando invece senza mezzi termini quali fossero i vicoli ciechi della diffusa conversione all’ideologia dei diritti umani o del libero mercato.
Per Bensaid, la messa a nudo delle contraddizionie delle tragedie che hanno accompagnato il socialismo reale svolta dagli ex-sessantottini era un’operazione preventiva di qualsiasi ipotesi di trasformazione della realtà. Strano destino, quello di contestualizzare storicamente l’esperienza del socialismo reale per uno studioso e un militante che ha sempre guardato all’Unione sovietica come a una «rivoluzione tradita». Altrettanto polemico è stato il saggio scritto con Alain Krivine e dedicato all’amato Sessantotto - 1968, fins et suites (Nouvelles Éditions Lignes) -, dove i due autori illustrano un vero e proprio percorso di ricerca con il «futuro alle spalle».
In Italia Bensaid è stato tradotto dalla casa editrice Alegre (Marx l’intempestivo, il manifesto del 15 dicembre 2008), da Ombre corte (Gli spossessati, il manifesto del 27 maggio 2009) e da Asterios (Gli irriducibili teoremi della resistenza allo spirito del tempo), mentre è in corso di traduzione per Ponte delle Grazie Elogio della politica profana. Saggi accomunati proprio dalla convinzione che il futuro alle spalle di cui scrive, riprendendo una celebra espressione di Walter Benjamin e Hannah Arendt, passa necessariamente per Marx. Così, mentre ne Gli spossessati il fenomeno delle enclosures descritto da Marx è utile per comprendere la privatizzazione dei beni comuni e del sapere nel neoliberismo, il volume dedicato al filosofo di Treviri si pone il problema di criticare una concezione lineare del tempo storico, aprendo così la strada a quell’imprevisto che è la rivoluzione. Così come la «politica profana» è l’unica possibile per rompere la teologia del libero mercato. La sua morte interrompe un percorso di ricerca, ma come ha più volte sostenuto proprio Bensaid, la prassi teorica a cui ha dato il suo contributo non si chiude mai con la scomparsa di un singolo, perché la prassi necessaria per portare l’immaginazione al potere è sempre collettiva.

dal manifesto del 13/1/2010