Le ultime rilevazioni dell'Istat segnalano che a luglio in dieci città italiane i prezzi sono calati rispetto a un anno prima. Nell'intera Eurozona i prezzi sono calati dello 0,7% rispetto al mese precedente. A prima vista potrebbe sembrare una cosa buona è giusta. Ma le leggi dell’economia sono strambe, secondo le aspettative dei consumatori e lavoratori. Secondo una logica sana la diminuzione dei prezzi dovrebbe essere il risultato della libera concorrenza, della liberalizzazione di alcuni settori o dell'adozione di tecnologie che riducono i costi di produzione, così ce la raccontano. Non sempre è così anzi quasi mai.
I prezzi questa volta calano perché vi è riduzione dei consumi e quindi contrazione della crescita. Il che non è venuto per opera e virtù dello Spirito Santo. Ma per volontà e per opera degli uomini, pochi ma potenti e decisivi . Per uscire dalla crisi hanno imposto agli Stati di sanare i debiti pubblici attraverso l’austerity , aumentare il prelievo fiscale, diminuire il Welfare e quindi le spese statali , privatizzando e facendo pagare privatamente ai cittadini gli stessi servizi sociali e quindi di conseguenza scarsezza di capacità di spesa.
Innescando così una spirale negativa in cui il crollo dei
consumi induce le aziende ad abbassare i prezzi dei loro prodotti e dei loro
servizi per cercare di venderli. Ma alla fine i consumatori sono frenati soprattutto
per mancanza di capacità di spesa e non acquistano i prodotti, anche se a
prezzi più bassi. Sono indotti al risparmio per acquistare beni di primissima
necessità, diminuendo all’osso i consumi. I ceti medi e medio bassi , quelli che
hanno ancora una certa capacità si spesa sono indotti, invece, sia dal pessimismo sia nell'attesa
che i prezzi continuino a scendere
sia aspettando una crescita dei loro potere d’acquisto,
I dati macroeconomici rivelano che nel secondo trimestre
2014 l'economia di Eurozona è rimasto invariato rispetto al trimestre
precedente, a causa proprio della flessione dei consumi e degli investimenti. Non
solo in Italia che ha registrato un -0,2% del Pil, ma anche la Francia ha segnato
un trimestre di crescita zero mentre la Germania ha visto il Pil calare dello
0,2%. E alla mancanza di potere di acquisto si aggiunge anche il recente crollo della fiducia degli
investitori tedeschi. Chi mai penserebbe
di investire e di produrre beni e servizi se vi è una costante e progressiva
diminuzione di capacità di spesa? Chi comprerebbe i propri prodotti.?
In questo quadro gli investitori puntano su porti più sicuri
, investendo là dove il tasso di profitto , o meglio di rendita, è più alto. Di
qui la rincorsa agli investimenti in titoli, sia ad alto rischio , sia quelli
cosi detti “monnezza”. Infatti questo mercato non ha mai smesso di crescere
nonostante che qualcuno dia la colpa della crisi proprio a questo tipo di
investimenti. Gli investimenti vanno là
dove li porta il profitto. Ad alta remunerazione e a basso rischio (
possibilmente)
E d'altra parte, anche se i tassi d'interesse si riducono
allo zero (come successo in Giappone negli anni 2000 e come è ora in Europa),
l'aumento del potere d'acquisto permette di rivalutare il proprio reddito solo
tenendo fermi i soldi sul conto in banca o paradossalmente sotto il materasso.
Ma se non c’è lavoro , se il rischio alla disoccupazione è
dietro l’angolo, cosi come quello del fallimento, come può un “normale”
banchiere incrementare il credito a famiglie ed imprese sapendo che la
percentuale di rischio ( ritorno del credito) è alto? Non è solo questione di
banchieri “criminali” o “malamente”
Ma la flessione dei prezzi , per gli imprenditori che sono
costretti a produrre per mantenere in piedi la loro attività riducono i margini
di guadagno delle imprese che vedono quindi contrarsi i profitti e di
conseguenza la propensione a investimenti più rischiosi come quelli per
l'innovazione e il rinnovamento dei prodotti. Riducendo contemporaneamente
anche la produttività ( quantità di merce prodotta , per unità di tempo) e di
conseguenza rischiano di essere meno competitivi e perdere quote di mercato.
Quindi le aziende devono tagliare i costi e quindi costretti
a ridurre la manodopera, licenziare. Le imprese cercheranno anche di contenere
la dinamica salariale, riducendo laddove possibile gli stipendi. In Italia il
tasso di disoccupazione è al 12,6%, ma balza al 43% tra i giovani sotto i 24
anni. La flessibilità quindi o meglio la precarietà , in un siffatto quadro è d’obbligo.
Non per essere liberi di licenziare o assumere ( anche) , ma per abbassare
diritti e potere contrattuale dei lavoratori, pagare meno il costo del lavoro (
anche se in Italia è uno dei più bassi in Europa considerando anche molti paesi
dell’ex Est)
Ci stiamo avvicinando sempre più all’orizzonte degli eventi
oltrepassato il quale niente e nessuno ci potrà salvare dal precipitare nel
buco nero .
Il rallentamento dell'economia e il contesto dato porterà e
porta ( leggi i dati trimestrali della Banca d’Italia sulle entrate fiscali) a
una diminuzione delle entrate fiscali anche in presenza di una percentuale fra
la più alta in Europa. Il 43% ufficialmente, ma oltra il 50 per quelli che
effettivamente le pagano) e che quindi il debito pubblico tenderà a risalire (
e infatti in Italia non ha mai smesso di salire) accelerando quella spirale
recessiva , il gorgo che ci risucchierà nella spirale senza uscita.
Ora se questo è il quadro chi può pensare che qualche
percentuale in meno , un po’ più di flessibilità rispetto al 3%, potrà
liberarci dall’abbraccio mortale nel quale ci hanno avvinghiati? E delle
riforme istituzionali non ne parlo nemmeno tanto ridicola è la questione
I lacci e laccioli di cui tanto cianciavano gli economisti embedded , i
liberisti, neo o post o ante litteram, il meno Stato è più mercato ci ha
portato ad avvicinarci troppo all’orizzonte degli eventi. Ora si tratta di
liberarci dei nuovi lacci e laccioli con cui ci hanno legati, di più Stato , ma
diverso, e meno mercato.